Cabinet of curiosities, l’antologia horror di Guillermo del Toro

Quando un maestro del granguignolesco e della fiaba gotica come Guillermo del Toro seleziona dei racconti da trasporre sul piccolo schermo, Netflix sente il richiamo dell’hype. Infatti Cabinet of curiosities è stata una delle serie più attese del periodo di Halloween. Distribuita dal 25 al 28 ottobre per un totale di otto episodi, la serie horror antologica creata da Guillermo del Toro regala delle storie di paura davvero ansiogene e, spesso, splatter. Il progetto ambizioso non raggiunge la lode in quanto non tutti gli episodi sono riusciti nell’intento di inquietare. D’altronde è un lavoro eterogeneo poiché diversi registi e sceneggiatori sono stati ingaggiati per ogni episodio dallo stesso regista. Dunque, non si può sicuramente parlare di un capolavoro dell’horror, ma più di un esperimento alla Black Mirror dell’orrore riuscito solo in parte grazie a delle vere perle. Solo due degli otto racconti sono stati scritti interamente da Guillermo del Toro, gli altri sono stati attinti da Lovecraft e altri autori dell’immaginario orrorifico e fantastico. Inoltre, ogni episodio è introdotto da un monologo recitato dallo stesso creatore della serie nella quale sono presenti degli indizi su ciò che si vedrà.

Lotto 36 è il primo episodio tratto dall’omonimo racconto di Guillermo del Toro ed è stato co-sceneggiato da Regina Corrado, mentre alla regia abbiamo Guillermo Navarro, collaboratore collaudato del cineasta. Non è sicuramente tra i migliori, è prevedibile nella risoluzione e anche nell’insegnamento insito della storia, ossia il karma torna indietro come un boomerang. Il protagonista, Nick, è un veterano razzista e arrabbiato con il mondo che ha comprato un magazzino per poter vendere gli immobili depositati all’interno. Scopre, però, grazie a un’antiquaria, che ci sono oggetti occulti e libri esoterici. L’ottusità condurrà il protagonista a non interessarsi agli altri ma solo a un modo per guadagnare decretando un finale nefasto in pieno stile del Toro. Nel cast abbiamo Tim Blake Nelson, Sebastian Roché, Demetrius Grosse e Elpidia Carrillo.

Diretto e sceneggiato da Vincenzo Natali, Il cimitero dei ratti è il secondo episodio dell’antologia basato sul racconto breve di Henry Kuttner. Ambientata nella prima metà del Novecento, la storia segue le vicende di Masson, un ladro di tombe, interpretato da un suggestivo David Hewlett capace di sostenere l’intero episodio da solo. Infatti, Masson cerca di prendere un bottino cospicuo da una tomba ma si ritroverà ad affrontare un’orda di topi nei tunnel sotterranei. L’avidità umana muoverà i sentimenti del protagonista portandolo nei meandri della terra. Un capitolo claustrofobico dal finale tragico sconsigliato a chi soffre di musofobia, ma sicuramente uno dei più significativi.

L’autopsia è diretto, invece, da David Prior e sceneggiato da David S. Goyer. Basato sul racconto breve di Michael Shea, si inserisce nel genere thriller- fantascientifico. In una cittadina tranquilla si manifestano una serie di omicidi irrisolti e quando dei minatori muoiono in un’esplosione forse causata dallo stesso assassino, lo sceriffo chiama il dottor Winters per l’autopsia. Dopo questo preambolo, inizia il racconto minuzioso del medico con i corpi dei cadaveri e scoprirà qualcosa di inaspettato, come d’altronde lo è il finale. La bravura di F. Murray Abraham sta nel farci sentire la tensione del momento nonostante la lentezza apparente di quando non succede nulla. È accompagnato da Glynn Turman e Luke Roberts.

Ana Lily Amirpour, già indirizzata nei suoi precedenti lavori sul taglio thriller, è alla regia di una delle perle dell’antologia: L’apparenza, sceneggiato da Haley Z. Boston e basato su una webcomic di Emily Carroll. L’episodio ruota intorno a Stacey, una giovane donna emarginata dalla società perché non rispecchia i canoni di bellezza imposti dall’ambiente in cui vive. Amante della tassidermia, Stacey è anche una brava cacciatrice ed è molto brava in matematica. Quando, per Natale, viene invitata dalle colleghe a una festa intima, comprende di non far parte di quel mondo fatto di felicità e ricchezza, anche se vorrebbe essere come le altre. Così, usa la costosissima crema che le è stata regalata dalla collega nonostante le provochi una forte reazione allergica convinta del fatto che la trasformerà da brutto anatroccolo a cigno. Un episodio molto introspettivo e di chiara denuncia alle apparenze con un finale senza sconti.
Nel cast abbiamo Kate Micucci e Martin Starr.

Di natura lovecraftiana è il racconto su cui si basa il quinto episodio, Il modello di Pickman, diretto da Keith Thomas e sceneggiato da Lee Patterson. Una storia demoniaca che si incentra sull’arte del dipingere: un pittore promettente inizia ad avere delle visioni e degli incubi dopo aver visto dei quadri di un suo amico, il signor Pickman. Il tormento del pittore è il cuore della storia e quando capirà che non sono solo mostri dipinti, forse è troppo tardi. Un Ben Barnes sempre in parte accompagnato da un enigmatico Crispin Glover rende piacevole la visione, nonostante l’ansia generata dal dramma dell’arte come specchio del mostruoso.

I sogni nella casa stregata è un altro episodio basato sul repertorio di Lovecraft e stavolta ci troviamo di fronte alla stregoneria e allo spiritismo. Con la regia di Catherine Hardwicke e la sceneggiatura di Mika Watkins, seguiamo la storia di un gemello che cerca di riportare in vita la sorella defunta quando era piccola. Nella speranza di riportarla indietro, cerca in tutti i modi di consultare streghe e spiritisti finché non sarà condotto nella casa stregata. Quando si sovvertono le leggi della natura c’è sempre un pezzo da pagare e il finale felice non è sempre quello che ci aspettiamo. Rupert Grint riesce ad essere convincente nel suo ruolo di gemello perduto nella ricerca della sorella. È affiancato da Ismael Cruz Cordóva e Tenika Davis.

Panos Cosmatos, famoso per l’action horror Mandy del 2018, è alla regia e alla sceneggiatura de La visita, il settimo episodio dell’antologia. Un delirio fatto di stupefacenti e dialoghi al limite del surreale di una combriccola radunata in un posto elitario che pecca di lentezza e di un finale insensato.

L’ultimo episodio è una vera perla di ghost story e forse l’unica dal finale pacificato basato su un racconto di Guillermo del Toro. Alla regia abbiamo Jennifer Kent che, con il suo debutto in qualità di regista con The Babadook, ha dato prova di saper coniugare i sentimenti umani con l’orrore soprannaturale. La storia dei due ornitologi è la più delicata e, forse, la più bella. Questi due studiosi, dopo aver perso la figlia, decidono di studiare il mormorio degli uccelli in una casa isolata. I due coniugi non hanno superato il lutto e grazie ai fantasmi di questa casa avranno l’occasione di riscoprirsi e superare il dolore. Essie Davis e Andrew Lincoln creano, insieme, atmosfere delicate e i loro dialoghi sono toccanti e veri. Con Il mormorio, la serie si chiude in bellezza e forse ci fa dimenticare che, nel complesso, non è stata così superlativa.

Nel complesso quest’antologia non riesce a raggiungere le aspettative che i vari nomi implicati avevano creato. Resta, comunque, un prodotto godibile.

Voto: 7-

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