Inventing Anna: impressioni a caldo

Inventing Anna

“Inventing Anna”, serie tv del 2021 prodotta da Shonda Rhimes e Netflix, aveva tutte le potenzialità per diventare una delle migliori serie Netflix. Il tema era affascinante: la giovane Anna Delvey (vero nome Anna Sorokin) riesce ad arrivare al vertice della upper class newyorchese fingendosi una ricca ereditiera tedesca. Non solo: utilizzando una rete di conoscenze altolocate, riesce a ottenere prestiti milionari direttamente da banche prestigiose, fino a quando la realtà comincia a sgretolare la montagna di bugie e di vere e proprie truffe incrociate ed Anna (qui interpretata da Julia Garner) viene arrestata e successivamente condannata per vari reati. Però questa è una serie “Made in Shondaland”, quindi adesso dobbiamo complicarne un po’ la struttura e soprattutto c’è da fare un bel lavoro di infiocchettamento della situazione. Intanto aggiungiamo l’altra protagonista della serie (che poi, forse, è la vera protagonista): Vivian Kent, giornalista in disgrazia con lo stesso occhione da cerbiatto di Meredith Grey, che ha letteralmente bisogno di raccontare la storia di Anna per riscattare la sua immagine di giornalista poco affidabile.

Vivian Kent

Poi ci sono le amiche di Anna, l’avvocato di Anna, il marito di Vivian e molti altri. Altro elemento di partenza fondamentale: il disclaimer dell’intera serie è: “Questa storia è del tutto vera. Tranne che per le parti assolutamente inventate”. Questa frase viene ripetuta all’inizio di ogni puntata, e se inizialmente può sembrare un riferimento alle stesse bugie raccontate da Anna, dopo poco ci si rende conto che anche questa volta Shonda ci mette del suo. Facciamo ancora un piccolo passo indietro prima di poter fare un ragionamento completo. Nel 2018 Shonda compra i diritti sull’articolo “How Anna Delvey Tricked New York’s Party People” pubblicato sul New York Magazine (ora leggibile sul sito The Cut) da Jessica Pressler, che è anche tra i produttori della serie. La Pressler sarebbe ovviamente la versione reale di Vivian Kent. Il problema di fondo di “Inventing Anna” sta principalmente in due fatti: il primo è che con quel disclaimer chiede allo spettatore una doppia sospensione dell’incredulità e, sempre con quel disclaimer sposta immediatamente il genere del prodotto alla soap-opera, ma non quella classica, bensì quella alla Shonda, caratterizzata da personaggi femminili in cerca di riscatto, in perenne lotta contro il patriarcato, in costante ricerca di un’affermazione di se stesse, costi quel che costi, sempre incuranti di quali e quante vittime lascino sul proprio cammino.

Anna Delvey

E infatti qui abbiamo un’alta dose di buonismo nei confronti di Anna Delvey, che finisce col diventare la vittima per cui fare il tifo, assieme a Vivian Kent, ovviamente lasciando lo spettatore ignaro del fatto che Anna Delvey / Sorokin abbia ricevuto 320.000 dollari da Netflix per la sua storia. Allo stesso tempo la serie condanna in modo quasi assoluto un’amica di Anna, accusata di aver approfittato della generosità della protagonista fino a quando quest’ultima non utilizza una sua carta di credito per pagare un conto d’albergo di circa 60.000 dollari, evento che porterà l’amica a scrivere prima un articolo e poi un libro sulla sua amicizia con Anna, addirittura guadagnandoci sopra. Ecco: l’amica viene condannata, diventa la cattiva, perché, in quanto donna non sta dalla parte dell’amica, ma sta, semplicemente dalla parte di se stessa. Questa è una cosa che, nel mondo di Shonda è sbagliatissima: le donne devono essere unite contro il mondo maschilista, non combattersi tra loro. Però così si finisce con l’usare due pesi e due misure: Anna truffa in modo più o meno riuscito l’alta società di New York e si vuole a tutti i costi trovarle una motivazione nobile, una spinta a voler costruire qualcosa, oscurando dietro questo specchio di eroismo al femminile il fatto che, probabilmente, i soldi le servivano per mantenere uno stile di vita iper lussuoso e basta. La sua amica invece diventa una traditrice, rea di aver guadagnato del denaro sulla vicenda dopo essere stata truffata. Hollywood ci ha già offerto molteplici raffigurazioni di truffatori, ma per quanto si potesse simpatizzare con i protagonisti nessuno si era mai impegnato così tanto per giustificarli. Prendiamo “Il lupo di Wall Street” che viene anche citato nella serie: il film di Scorsese, tratto direttamente dalle autobiografie di Belfort, non cerca di mostrare la bontà d’animo del protagonista, che viene descritto per quello che è.

Nonostante tutto questo, “Inventing Anna” ha dei punti di forza: intanto Julia Garner è davvero brava, e la sua interpretazione vale la visione. La struttura narrativa è forte, crea aspettative, tiene incollati allo schermo e genera curiosità di puntata in puntata, e posso assicurarvi che ognuna è ricchissima di avvenimenti e procede a ritmo molto alto. La fotografia super glamour vince su quella di molte altre serie ad ambientazione alta società. Insomma, “Inventing Anna” è un’ottima serie tv perché genera quella voglia di binge-watch compulsivo che ogni serial dovrebbe generare ma, contemporaneamente è un pessimo prodotto che mette in scena gli stereotipi cari alla produttrice in modo ancora più forte che in altre sue produzioni, privandoli di uno spessore contenutistico che non sia necessariamente una voglia di rivalsa femminile iper-generalizzata.

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