Una delle serie più interessanti del 2020 è sicuramente I may destroy you della HBO, passata in sordina perché troppo poco commerciale (in Italia è inedita). Questa miniserie, però, anche se al pubblico è sfuggita tra la marasma di prodotti, è stata candidata agli Emmys nella categoria “miglior serie limitata”, scalzata dalla più conosciuta Mare of Easttown. Ma perché è importante vedere questa serie? Il motivo è semplice: oltre allo stile particolarissimo di narrare una vicenda forte e toccante, è uno spaccato della nostra società tra moralità e immoralità, tra influenza mediatica e potere individuale. Un crescendo di temi trattati che non fa riflettere solo sulla violenza sessuale in sé, ma anche su quanto siano diffusi altri problemi legati ad essa. Sul binomio dicotomico moralità-immoralità, ci ritroviamo di fronte a personaggi che credono di essere nel giusto, di comportarsi bene, però, alla fine, devono fare i conti con i propri errori. Da vittima a carnefice, uno switch impensabile per una vittima ma che, appunto, si realizza e insegna ad avere rispetto per i sentimenti altrui.

Michaela Coel, ideatrice e produttrice della miniserie, attinge dalla propria esperienza personale per parlare di stupro e bullismo. Non solo, è anche l’interprete della protagonista, Arabella Essiedu. L’idea è quella di creare una vera e propria anatomia dell’abuso in tutte le sue forme. Non troviamo solo l’atto disumano, ma anche l’uso di sostanze per rendere incosciente la vittima. Arabella è una donna dei nostri tempi, ossia un’influencer che è riuscita a spiccare grazie ai suoi post su Twitter. In questo modo, questa donna nera riesce a emergere e a scrivere un libro per una casa editrice. Dopo un viaggio in Italia (Ostia), Arabella trova l’amore e sembra proprio, all’inizio, una commedia romantica che prevede una storia a distanza: lei è di Londra, lui di Ostia. Tornata a Londra, Arabella è in crisi perché dovrebbe consegnare la bozza del suo nuovo romanzo, però ha il blocco dello scrittore. Cerca di distrarsi, esce con degli amici per bere qualcosa in un locale e…Il giorno dopo non ricorda nulla. Da questo punto in poi le puntate prendono una piega diversa, crescono insieme all’esigenza della protagonista di ricostruire la vicenda.

Molto lentamente, Arabella riesce ad avere spezzoni e immagini flash di quanto è successo. Ovviamente, denuncerà l’accaduto, ma la burocrazia non sempre riesce nel suo intento. Intanto, la sua storyline si intreccia con altri personaggi a sua volta vittime di violenza. Si parla di app di incontri, di ghosting, della gogna sui social e di oppressione in generale. Arabella, dopo essere stata vittima di violenza, cambia totalmente e cerca in qualche modo di superare il dolore.Nonostante ciò, gioca un brutto scherzo al suo amico chiudendolo in una stanza con un altro ragazzo con l’intento di farlo divertire. In questo senso da vittima si trasforma in carnefice, poiché Arabella non ha preso in considerazione i sentimenti di Kwame (Paapa Essiedu). Bisogna sempre riflettere prima di agire anche se in buona fede, lo status di vittime non è una garanzia. E, in realtà, scopriamo che Arabella si è resa complice di revenge porn insieme alla sua migliore amica Therry (Weruche Opia) al liceo.

Infatti, andando avanti con la storia, l’influencer troverà un po’ di comprensione in un gruppo di supporto per abuso presieduto da Theo (Harriet Webb), una sua compagna di scuola al liceo. E qui la narrazione si stratifica con numerosi flashback ambientati al liceo dove si conoscerà la storia di Theo e l’intervento di Arabella a sfavore di quest’ultima perché è “bianca” e le sue lacrime basteranno per non essere punita a differenza di Ryan, il ragazzino nero che ha scattato la foto durante il rapporto con Theo senza permesso. Grazie al gruppo di supporto, però, Arabella si rende conto che il dolore è universale, che non esiste bianco o nero, che da giovane anche lei è stata complice di un sistema sociale imputridito.

Michaela coglie anche l’occasione per parlare di stealthing (togliersi il preservativo durante un rapporto senza il consenso del partner) che è reato in alcuni Paesi, in questo caso si parla dell’Inghilterra. Le forme di violenza sono tante e a volte non vengono denunciate perché non si conoscono nemmeno (anche da ambo le parti). Un altro aspetto che va evidenziato è il rapporto che Arabella ha con i social. Proprio sui social lei trova il consenso dei suoi follower, riesce ad arrivare a tantissime persone che si rispecchiano nella sua storia e soprattutto dà libero sfogo alla sua rabbia e a quelle delle altre vittime, pronte ad additare l’uomo come il cattivo sfiorando la misandria. Il potere mediatico, che sia attraverso un’azienda che usa gli influncer o attraverso un potere individuale, può essere dannoso. Difatti, Arabella è anche costretta a snaturarsi per guadagnare con campagne promozionali a cui lei non tiene davvero.

Il finale rispecchia le modalità narrative di questo racconto stratificato, creando una serie di scenari possibili su come la vicenda di Arabella possa finire. La Coel ha condensato, in sole dodici puntate da mezz’ora ciascuna, un’ampia varietà di tematiche da una prospettiva intersezionale rendendo questi argomenti accessibili al mondo della serialità. Probabilmente non è una serie che potrà piacere a tutti, non spettacolarizza il dolore né cerca di compiacere lo spettatore edulcorando la pillola. Ma è una fortissima denuncia sociale che nasce da un sistema patriarcale e si estende a tutte le altre discriminazioni. Potente, frammentata, attuale: consigliata! Voto: 8