Disponibile da qualche settimana su Prime Video, “Rifkin’s Festival” è l’ultimo degli oltre cinquanta lungometraggi diretti da Woody Allen.
La storia, ambientata a San Sebastian durante il Festival del cinema, è quella dell’insegnante in pensione Mort Rifkin (Wallace Shawn), e della moglie Sue (Gina Gershon), ufficio stampa di alcuni attori presenti alla rassegna.

Mentre lei è molto impegnata col lavoro (in particolare con uno dei suoi registi, il fascinoso Philippe), lui trascorre il suo tempo tra passeggiate, riflessioni, e con un fastidioso dolore al petto che lo tormenta da quando ha lasciato gli Stati Uniti.
È proprio durante una visita medica che Mort conosce la dottoressa Rojas, che lo aiuterà con i suoi problemi di cuore, in tutti i sensi.

Mort, infatti, percepisce forte e chiaro l’allontanamento di Sue, sempre più attratta dall’affascinante Philippe (Louis Garrel), ma non sembra poi così affranto: a fargli compagnia, e ad esorcizzare le sue paure e le sue paranoie, vi sono numerosi personaggi del cinema del passato. È con questo espediente narrativo che Woody Allen riesce ancora una volta ad omaggiare il grande cinema: Mort e Sue diventano i protagonisti di pellicole di Bergman, Welles, Godard, Fellini, reinventandole e adattandole alla loro situazione, quella di una relazione stanca e ormai alla deriva. Un vero e proprio “Rifkin’s Festival”, insomma.

Una pellicola che scorre veloce, senza annoiare, e che riporta sullo schermo alcuni dei capisaldi del cinema di Allen: le nevrosi, i tormenti interiori, le riflessioni sulla vita e sulla morte, sempre però con la sua inconfondibile leggerezza e maestria.

Un vero e proprio messaggio d’amore per il cinema, medicina dell’anima.