Bly Manor: il dolore di una perdita

“Bly Manor” è il sottotitolo della seconda stagione della serie horror “The Haunting“, la cui prima stagione è intitolata “Hill House“. È tratta dal racconto dell’orrore “Il giro di vite” (“The Turn of the Screw”), scritto da Henry James nel 1898. (Vi consiglio di recuperare l’articolo che abbiamo pubblicato a riguardo, lo trovate qua).

Distribuita su Netflix il 9 ottobre 2020, “Bly Manor” presenta un numero esiguo di episodi, essendo soltanto nove. Come la stagione precedente, racconta una storia di fantasmi, tuttavia il modo in cui lo fa risulta essere del tutto differente, nonostante ci siano chiaramente delle similitudini narrative con “Hill House“. Partiamo dalla trama. Ad una cena di prova per un matrimonio, una donna racconta alla coppia di sposi e agli altri invitati una storia di fantasmi che ha per protagonista un’istitutrice che si è trasferita a Londra dall’America. La donna trova lavoro presso una grande tenuta a Bly, in cui soggiornano due bambini, che sono a carico dello zio dal momento in cui hanno vissuto il trauma della perdita di entrambi i genitori. Le stranezze che avvolgono la casa di Bly Manor si palesano ancor prima che ci venga mostrata. In più, una volta fatta la conoscenza dei bambini, più che delle persone che si occupano della casa, si percepisce che qualcosa non vada nel loro comportamento, alimentando l’idea che quel posto di lavoro è rimasto vacante per diverso tempo per una ragione.

Mike Flanagan, regista e ideatore della serie, colpisce ancora nel segno: se nella prima stagione i vari jumpscares la rendevano una serie horror a tutti gli effetti, nella seconda, invece, la presenza dei fantasmi non manca ma è più figurativa che di effetto, dato che a volte li vede solo lo spettatore. Questo testimonia come la serie abbandoni i canoni del genere horror per abbracciare, ancor più di prima, quelli del genere drammatico. Eppure, ragionandoci sopra, gli elementi per ottenere un’altra stagione sulla falsariga della precedente ci sono: i due bambini dal carattere particolare si prestano all’idea di paura che si vuole instillare nello spettatore (basti pensare a “IT“, per fare un esempio); a questo va aggiunta una casa infestata da altri fantasmi, il luogo ideale per dare vita a momenti di terrore tipici del genere horror. In base a quanto detto, stupisce scoprire la scelta adottata da Flanagan, che riesce a non cedere all’abuso dei cliché del genere horror, ma convoglia tutta la sua creatività per dare origine a qualcosa di simile ma al contempo diverso.

La sceneggiatura è come sempre magistrale, si sceglie infatti di mantenere intatti gli elementi che hanno contraddistinto lo stile della serie, ossia: il fatto che la storia si ambienti in una casa enorme, la presenza di quasi l’intero cast della prima stagione e la scelta di impostare alcuni episodi in modo tale che ognuno sia basato su un determinato personaggio, così da poterli caratterizzare il più possibile. I dialoghi tra i personaggi sono uno spunto di riflessione su questioni importanti legate ad argomenti quali la differenza tra “amore” e “proprietà“, la paura di essere dimenticati, la scelta di fare pace con il proprio passato andando avanti oppure quella di cogliere l’attimo perché, forse, quell’occasione tanto cercata non ricapiterà mai più. Il ritmo della narrazione, ad un primo sguardo, può sembrare come quello della prima stagione, solo con una tensione diversa di fondo, che non sfocia in scene paurose ma che nemmeno svanisce, resta costante l’idea che qualcosa di concreto possa succedere. Proseguendo nella visione, si capisce come lo scopo della stagione sia ben diverso: non vuole trasmettere uno stato di tensione e paura, ma raccontare una storia intricata che abbia a che fare con i ricordi e i rimorsi dei protagonisti in cui niente è ciò che sembra.

Come nella prima stagione, uno dei personaggi più interessanti è sicuramente quello interpretato da Victoria Pedretti: Danielle, la nuova istitutrice, si approccia alla storia con gli stessi occhi dello spettatore, capendo che qualcosa non va ma rimanendo interdetta dinanzi alle stranezze dei due bambini, Miles e Flora. Il suo personaggio, al di fuori delle parti in causa (cioè coloro che vivono a Bly Manor), rappresenta una novità rispetto alla stagione precedente, dove la storia dei Craine vedeva per protagonisti solo i componenti della famiglia. Victoria Pedretti si dimostra ancora una volta all’altezza, sfornando una prestazione ancor più convincente che nei panni di Nell Craine: il suo viso in cerca di uno sguardo complice che le dia conferma delle strannezze che vede merita di essere citato, nondimeno la sua capacità di rimanere sconvolta e disperata davanti a determinati eventi.

Hannah Grose, impersonata da una delle new entry del cast, trasmette tutta la sua confusione interiore attraverso le espressioni del viso, i gesti sempre trattenuti e mai sciolti indicano ulteriormente la sua difficoltà a rimanere serena, per cui bisogna dire che l’attrice che la interpreta ha svolto un ottimo lavoro.

Oliver Jackson-Cohen, il tossicodipendente Luke di “Hill House”, lo ritroviamo in splendida forma, con un aspetto fisico che si confà a quello del personaggio, e vestito in maniera impeccabile, al punto da far capire, a chi non ne fosse convinto, per quale ragione sia un modello. La sua presenza è importante soprattutto all’inizio, per cominciare a sistemare i primi tasselli di un puzzle molto complesso e difficilmente risolvibile se non grazie ad una puntata in particolare. Lo vediamo in una veste del tutto nuova rispetto a prima, dato che Peter è un uomo che ama il denaro, tuttavia riesce a disimpegnarsi bene anche in questo ruolo, in cui non sfigura mai.

Jamie è il personaggio più particolare della serie: a differenza di Owen, lo chef, la sua evoluzione puntata dopo puntata è evidente. La ragazza, infatti, acquisisce sempre più importanza nel corso della stagione, facendo emergere altri aspetti della sua personalità che magari non ci si sarebbe aspettato di vedere. Il suo personaggio è una figura femminile forte e indipendente, capace di badare a se stessa e anche agli altri, un altro motivo per osservarla con maggior interesse.

Miles e Flora sono i due bambini della serie, dalla loro interpretazione dipende praticamente l’intera stagione, un rischio azzardato ma che ha dato i suoi frutti: Flora, nella sua dolcezza e finezza, emana tranquillità, i suoi cambiamenti repentini di espressione la fanno sembrare davvero un’altra persona; Miles sembra un adulto in miniatura, ha uno sguardo criptico che sfoggia con naturalezza. È stato una bellissima sorpresa, speriamo di vederlo in altri ruoli in futuro.

La seconda stagione della serie si può considerare più che riuscita: il finale della serie è sia agrodolce che struggente. La vicenda ha un suo lieto fine, questo però non vale per tutti i personaggi, infatti coloro che ne pagano le conseguenze sono costretti a conviverci per tutta la loro vita, cosa assai ingiusta che lascia l’amaro in bocca e che inevitabilmente emoziona e commuove. La scelta di non raccontare in maniera originale e sapiente solo una storia di fantasmi con l’intento di incutere paura nello spettatore, bensì quello di narrare una storia drammatica e spiacevole che susciti varie emozioni, si è rivelata vincente: il complicato rompicapo che riguarda la vicenda è stato ben gestito, i personaggi sono stati approfonditi correttamente lasciando il giusto spazio all’immaginazione dello spettatore davanti ad alcuni eventi che volutamente non vengono spiegati.

La prima stagione della serie presentava una buona storia raccontata nel modo giusto, ma questa stagione non solo è raccontata in modo interessante, cela anche una storia davvero bella, capace di entrare nel cuore del pubblico e di mescolare felicità e tristezza in modo da catturare l’attenzione di chi ama le storie d’amore, oltre che di fantasmi. Nonostante la stagione non presenti un numero sufficiente di elementi riconducibili al genere horror, il racconto di “Bly Manor” non può che essere “perfettamente splendido”, come direbbe la piccola Flora.

Voto: 9


Articolo scritto in collaborazione con A. List, trovate la sua versione, sul blog da lei gestito, al seguente link:

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