L’animazione, tanto nel cinema quanto nelle serie tv, ha acquisito un’importanza sempre maggiore col passare del tempo. Parliamo di un media fondamentale, che ha vantato e vanta ancora oggi straordinari capolavori. Note case di produzione come la Disney, la Dreamworks, la Pixar e molte altre ancora sono state in grado di emozionarci, unendo un comparto grafico e tecnico superbo e una notevole qualità di scrittura. Nonostante abbia allargato i propri orizzonti e il proprio bacino di utenza, però, l’animazione occidentale resta ancora oggi molto “ingessata”. Nel senso che non osa attraversare certi confini e si accontenta della propria natura, per vari motivi. Ad esempio, è ancora troppo radicata la convinzione che i “cartoni animati” siano destinati prevalentemente ad un target molto giovanile. I temi trattati non devono essere troppo forti, certi tipi di personaggi è meglio che non compaiano e anche la violenza deve essere mostrata entro certi limiti. Ma c’è un determinato tipo di animazione, probabilmente superiore ad ogni altro tipo sulla Terra, che non ha di questi problemi. Sto parlando di quella nipponica, i cosiddetti “anime”.
Parliamo di un vero e proprio universo a sé stante, un genere cinematografico e seriale di devastante potenza visiva e narrativa. Mentre in Occidente si usa il cinema per fare animazione, questo media tipicamente giapponese fa l’esatto contrario: si serve dell’animazione per fare cinema. E di conseguenza ogni catena viene spezzata e gli anime finiscono per avere totale libertà, espressiva e narrativa. Vengono esplorati tutti i generi e, nonostante ognuno di loro abbia un target ben preciso, si prestano alla visione da parte di qualunque tipo di pubblico. Non esiste nessun tipo di inibizione e tutto ciò che è opportuno mostrare viene mostrato. E’ per questo motivo, in soldoni, che gli anime sono nettamente superiori all’animazione occidentale, che vanta comunque i suoi capolavori ma che non è minimamente all’altezza del media di cui stiamo parlando. Un media che non si risparmia soprattutto in violenza, sesso, tematiche estremamente forti e narrazioni che più cervellotiche e fuori di testa non si può. Anche se adesso gli anime hanno una distribuzione decisamente maggiore rispetto a prima, è stata proprio la loro libertà a condizionarne la distribuzione o la messa in onda. Mediaset, ad esempio, non si prese la responsabilità di trasmettere una serie come “Ken il guerriero” nei suoi palinsesti, sopratutto a causa dell’estrema carica violenta dell’opera. Furono reti minori ad occuparsene, dandoci la possibilità di vedere questa come tante altre serie, che ci hanno emozionato e ci sono rimaste nel cuore. Nonostante gli evidenti problemi di distribuzione, però, gli anime hanno trovato la loro espansione e hanno gradualmente dimostrato il loro immenso valore. Un valore incredibile che ha influenzato, in più occasioni, il cinema mondiale. Basta pensare a “Matrix” dei fratelli Wachowski, profondamente influenzato da “Ghost in the shell” di Mamoru Oshii, influenza che i registi non hanno mai nascosto. Oppure ad “Inception” di Christopher Nolan, che molto deve a quel gioiello chiamato “Paprika” del defunto Satoshi Kon.
Tuttavia c’è un nome a cui gli anime, in termini di distribuzione e di affermazione, devono molto. Quel nome è Hayao Miyazaki, fondatore dello Studio Ghibli insieme ad Isao Takahata. Parliamo di un autore, ribattezzato dalle nostre parti come “Walt Disney Nipponico”, che è riuscito a far vincere l’Oscar come Miglior Film D’Animazione ad un suo straordinario e famosissimo film: “La città incantata” del 2001. Una vittoria ancora oggi ineguagliata nel mondo degli anime.
Si potrebbe stare ore ed ore a parlare di questo media ma vi dò un consiglio: avvicinatevi il prima possibile a questo mondo e non pensate di avere a che fare con semplici “cartoni animati”. Avete a che fare con una forma altissima di cinema e di serialità, che sfrutta la propria natura per varcare qualunque confine narrativo e contenutistico. Vedere per credere.