Butterfly – “Io sono nata farfalla”

Lo avevano detto gli autori di Queer as Folk US quasi quattro anni fa: la TV sta scoprendo l’interesse per i personaggi transgender. E così, dopo i reality e i ruoli di contorno in altre serie, dovevano arrivare anche quelle dedicate interamente a loro.

Se nel 2014 Amazon Studios ha prodotto Transparent, serie arrivata alla quarta stagione, nel 2018 è la volta di Butterfly, miniserie in tre episodi realizzata per ITV dalla Red Production Company, la stessa di Queer as Folk UK per intenderci.

Lo show è stato realizzato da Tony Marchant (autore del film Le donne non sono tutte uguali, 1996) con la consulenza di Susie Green, direttrice di Mermaids, un’organizzazione di beneficenza che sostiene i giovani transgender nel Regno Unito, e il primo episodio è stato visto da 2,8 milioni di spettatori.

Durante la scrittura Marchant si è più volte confrontato con le famiglie sostenute da Marmaids e fondamentale è stato il contributo della Green, la cui figlia, avendo ricevuto un intervento chirurgico di riassegnazione del sesso all’età di 16 anni, è la più giovane ragazza britannica ad aver affrontato tale percorso.

Anche Anna Friel ed Emmett J. Scanlan, gli interpreti di Vicky e Stephen Duffy, hanno voluto fare visita alle famiglie di ragazzi transgender per entrare maggiormente nelle rispettive parti, quelle dei genitori di una bambina con disforia di genere.

Maxine, Max all’anagrafe, ha 11 anni ed è nata in un corpo maschile.

All’inizio Marchant avrebbe voluto che il ruolo della piccola protagonista fosse interpretato da una bambina MtoF, ma Mermaids sconsigliò una scelta di questo tipo e il ruolo di Maxine fu affidato a Callum Booth-Ford, un bambino cisgender.

Nonostante questa premessa, va sottolineato che Butterfly non è una serie sulla transessualità, ma un family drama che prende in considerazione quello che succede intorno a un ragazzo transgender.

Lo show, molto apprezzato dalla critica, tanto che Sean O’Grady di The Independent l’ha definito “incredibilmente influente” e “una serie ITV di riferimento” e Ash Palmisciano su Radio Times ha aggiunto che si tratta di una serie “veritiera, oscura, sconvolgente [e] bella”.

Lucy Mangan di The Guardian ha lodato Butterfly definendola “meravigliosamente delicata”, e i meriti di questa serie, prima nel suo genere, sono stati sottolineati da molte altre testate giornalistiche, sebbene non siano mancate le critiche: Allison Pearson in The Telegraph ha criticato il fatto che il programma “sostiene spudoratamente la causa transgender”, insinuando che i casi di persone trans che hanno tentato il suicidio siano “inesistenti”. Pertanto, Butterfly sarebbe “altamente irresponsabile” per aver mostrato il tentativo di suicidio di Maxine, poiché i tentativi di emulazione sono un serio problema.

Anche la clinica di genere del servizio sanitario nazionale Gender Identity Development Service ha criticato questo aspetto della miniserie, affermando che non fosse “utile” mostrare il tentato suicidio della protagonista, data la rarità di gesti estremi in quella fascia d’età e riportando che meno dell’1% dei loro pazienti ha tentato il suicidio.

A queste affermazioni ha risposto la Green, citando un sondaggio Stonewall del 2016 in cui è riportato che il 45% dei bambini transgender ha riferito di aver tentato il suicidio.

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La forza di Butterfly sta nel descrivere realisticamente ma con delicatezza il percorso compiuto dall’intera famiglia Duffy; Marchant aveva notato una caratteristica comune tra le famiglie delle sirene, ovvero la presenza delle madri e l’assenza dei padri. Per questa ragione ha scritto il personaggio di Vicky come una madre pronta a tutto per aiutare la figlia, mentre ha messo in risalto i dubbi di Stephen.

I genitori non sono gli unici personaggi messi sotto la lente d’ingrandimento dell’autore: quasi a sottolineare le differenze tra diverse generazioni, Marchant mostra la sorella e i nonni di Maxine.

Lily, la sorella maggiore, è la prima ad accettare la diversità di Maxine e a spronarla a uscire di casa vestita da ragazza. Addirittura le dice di considerarla non suo fratello, ma sua sorella.

Proprio Lily diventa la vittima innocente della situazione quando tutte le attenzioni dei genitori si spostano su Maxine, che ha bisogno di maggiore sostegno.

I nonni, che disapprovano il permissivismo della madre nell’accondiscendere a ogni stranezza di Max, chiedono perché il bambino non possa semplicemente ammettere di essere gay, invece di vestire abiti femminili e dire di essere una femmina, e la loro domanda sembra sottolineare il confine tra una condizione ormai considerata “normale”, l’omosessualità, e qualcosa che non è socialmente accettabile (ricordiamo che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha tolto la transessualità dalla lista delle malattie mentali solo nel giugno 2018, con qualche anno di ritardo rispetto all’American Psychiatric Association).

Al centro della vicenda sono però Maxine e i suoi genitori: la madre che si colpevolizza, arrivando a chiedersi se il suo desiderio di avere una figlia femmina o il non aver prodotto abbastanza testosterone durante la gravidanza siano all’origine del problema, e il padre, al principio irritato dagli atteggiamenti effeminati di Max, convinto che sia una fase transitoria e che, pertanto, non vuole assecondare le richieste del figlio.

Il loro matrimonio va in pezzi ed è il tentato suicidio di Maxine a farli riavvicinare, a far loro capire che la figlia ha bisogno di entrambi.

Ciò nonostante Vicky e Stephen hanno approcci diversi al percorso che Maxine vuole  e sente di dover affrontare, e la possibilità di farle assumere farmaci che rallentino il suo sviluppo li vede, di nuovo, inizialmente contrapposti.

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